Fig. 1 – Rembrandt, Infante che impara a camminare, c. 1656

La potenza del segno grafico nella sua essenza più pura si esprime quando esso viene tracciato con estrema sintesi e semplicità, e questo avviene soprattutto nel disegno. Poche righe su un foglio possono infatti suggerire quasi ogni cosa, sta all’abilità dell’artista trovare un equilibro, adottando ad esempio un numero sempre minore di tratti per velocizzare l’esecuzione e modulando i segni per apportare sottili cambiamenti, e tutto ciò senza perdere in potenza narrativa.

Per esplorare questo tema, cioè che cosa rende interessante e narrativo un segno grafico, voglio prendere come esempio un disegno di Rembrandt, l’Infante che impara a camminare. Si tratta di una composizione a penna e inchiostro su carta risalente al 1656 circa e oggi conservato a Londra presso il British Museum.

È un disegno di 9 centimetri di altezza per 15 di larghezza. Le piccole dimensioni sono dovute al fatto che all’epoca la carta costava molto e non si poteva sprecare.

Osservando il disegno possiamo vedere un bambino, o più probabilmente una bambina, che sta imparando a camminare muovendo i primi incerti passi, aiutata e incoraggiata da alcuni familiari che le stanno attorno.

Si tratta di un soggetto molto semplice, una scena alla quale chiunque può facilmente assistere, dove assaporiamo il fascino della quotidianità. Il nostro interesse non sta quindi in quello che succede, quanto piuttosto nel modo in cui Rembrandt ha scelto di raccontarcelo, nel modo in cui egli guida il nostro sguardo e sottolinea ciò che ritiene più importante.

Notiamo ad esempio come la bambina sia tenuta per mano da una figura femminile anziana, forse una nonna, con la schiena piegata dall’età, e da una sorellina di poco più grande.

La presa della nonna ci appare sicura, esperta, più incerta invece quella della bambina che guarda alla sorella con aria particolarmente ansiosa. La sensazione di apprensione ci viede data dalla linea delle spalle, che descrive una postura piegata in avanti in modo da consentirle di osservare con la maggior attenzione possibile i passi dell’infante, e forse incoraggiarla.

Quello che sembra il padre è accucciato sulla sinistra, inscritto in una forma triangolare che a sua volta fa parte di un più ampio triangolo entro il quale sono organizzate le figure in primo piano. Cominciamo ad accorgerci come nella loro apparante spontaneità i personaggi di questo disegno costruiscano invece uno spazio complesso.

Notiamo anche come gli occhi eccitati e quasi commossi del padre sono resi solamente con due gocce di inchiostro.

La figura femminile in piedi sulla sinistra potrebbe essere la mamma oppure una passante incuriosita. Il dubbio ci viene dal fatto che ella non ha alcun tratto grafico che la mette in contatto con gli altri personaggi, che sono invece collegati in un tutt’uno, come una famiglia.

Oppure i tratti che descrivono la donna non toccano gli altri personaggi semplicemente per aumentare la sensazione di profondità della scena, creando più piani uno dietro l’altro.

Sembra improbabile che questa scelta non sia stata effettuata consapevolmente da Rembrandt, data la compostezza con la quale l’intera scena risulta curata.

Ad ogni modo, la donna porta un secchio, d’acqua o di latte, che sappiamo essere pieno, perché la postura ce ne lascia intuire il peso. Infatti, il braccio teso che regge il secchio è bilanciato dall’altro braccio, piegato e sollevato, mentre il corpo di lei pende leggermente nel tentativo di fornire ulteriore compensazione.

Notiamo anche come Rembrandt ci mostri figure umane da molti punti di vista: di fronte, di profilo, di spalle, di tre quarti, creando una sensazione tridimensionale, per certi aspetti realistica, capace di coinvolgerci con semplicità e immediatezza, di trascinarci dentro la storia.

La bellezza di questo disegno sta nell’economia di risorse utilizzate per realizzarlo. Ci stupiamo se contiamo l’esiguo numero di tratti che sono stati necessari per ottenere questa composizione. Un tratto per un profilo, un paio di movimenti di penna per gli abiti, un segno descrivere per un volto, e così via.

E in tutto questo la bambina che compie i primi passi resta la vera protagonista. Avanza leggermente sbilanciata muovendosi dal primo piano verso la profondità della composizione, con sapienza quasi teatrale. Potrebbe inciampare se non fosse sostenuta e per questo la percepiamo come in un movimento raffrenato in un istante fortuito.

È come se fossimo in grado di assistere a questa piccola scena familiare solo per un attimo, perché se la nostra attenzione fosse stata catturata solamente un istante dopo, l’attimo perfetto sarebbe andato completamente perduto. Ed è anche anzi soprattutto in questo aspetto che sta la potenza narrativa del segno di Rembrandt.