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Nella maggior parte delle religioni le immagini svolgono un ruolo cruciale nel creare l’esperienza del sacro.

Le immagini esprimono e al contempo plasmano i diversi modi di intendere il soprannaturale in differenti culture e in differenti periodi (Burke, 2002). Attraverso le immagini, strumenti di indottrinamento, oggetti di culto, stimoli alla meditazione e armi nelle controversie, lo storico può ricostruire esperienze religiose del passato ammesso che, ovviamente, sia in grado di interpretarne l’iconografia. 

Le immagini sacre svolgono anche una funzione documentale, offrono cioè una testimonianza visiva del sentimento religioso in un dato luogo e in una data epoca.

Il possesso di alcune nozioni religiose è un prerequisito piuttosto ovvio per comprendere il significato delle immagini sacre, a maggior ragione se provenienti da culture distanti da noi nel tempo e nello spazio. Nel Cinquecento, gli europei che visitavano l’India talvolta percepivano come demoni le immagini delle divinità indiane.

Questa propensione a considerare diaboliche le religioni non cristiane venne rinsaldata dal fatto che questi “mostri” dalle molte braccia o dalla testa di animale rompevano con gli schemi iconografici occidentali della raffigurazione del divino. Del resto, come ha rilevato Erwin Panofsky, è probabile che un aborigeno australiano possa vedere nell’Ultima Cena niente più che un insieme di persone attorno ad una tavola che discutono per una questione di soldi (Panofsky, 1999).

L’iconografia era importante soprattutto nelle epoche passate perché le immagini erano mezzi di “indottrinamento”, nel senso letterale del termine, di trasmissione della dottrina religiosa. Le considerazioni fatte in proposito da papa Gregorio Magno sono state citate un’infinità di volte nel corso dei secoli:

«Le immagini sono collocate nelle chiese perché coloro che non sono in grado di leggere nei libri possano “leggere” sulle pareti».

Sia l’iconografia sia le dottrine che essa illustrava potevano essere spiegate oralmente dal clero e l’immagine, più che una fonte indipendente, era un promemoria e un rafforzamento del messaggio affidato alla Parola.

Le immagini sacre svolgono anche una funzione documentale, offrono cioè una testimonianza visiva del sentimento religioso in un dato luogo e in una data epoca. Le discrepanze fra le storie narrate dalle immagini e quelle raccontate dalla Bibbia costituiscono indizi particolarmente interessanti per comprendere come il cristianesimo venisse considerato dagli stessi cristiani e come si sia evoluto.

Ecco perché ad esempio, soprattutto a partire dal Trecento, i pochi accenni ad alcuni maghi e ai loro doni e alla nascita di Cristo in una mangiatoia, presenti rispettivamente nel Vangelo di Matteo e nel Vangelo di Luca, vennero amplificati e resi più vividi da innumerevoli rappresentazioni visive del bue e dell’asinello e dei re Magi Gaspare, Baldassarre e Melchiorre.

Dal punto di vista iconologico, anche i mutamenti stilistici delle immagini sacre furono una testimonianza di enorme importanza per gli storici. Figure volte a suscitare emozioni possono essere utilizzate per documentare la storia di quelle emozioni, possono suggerire, per esempio, l’esistenza nel tardo Medioevo di un particolare interesse nei confronti del dolore.

Fu in questo periodo infatti che giunse al culmine il culto degli strumenti della Passione – i chiodi, la lancia – e fu sempre in questo periodo che la figura di Cristo sofferente, contorto e struggente sostituì sui crocefissi l’immagine tradizionalmente serena e dignitosa del Cristo «regnante dall’albero», come si soleva dire nel Medioevo.

L’arte sacra è indubbiamente il media visivo per eccellenza di supporto all’omiletica.

Ma vi sono casi, che potremmo considerare false friend, che a dispetto dell’apparente familiarità e facilità interpretativa, si rivelano più distanti e criptici di quanto avremmo potuto immaginare. Abbiamo voluto prendere ad esempio il Battesimo di Cristo di Piero della Francesca (Fig. 1), con particolare attenzione al gruppo dei tre angeli, con l’obiettivo di dimostrare quanto uno sguardo distante oltre cinquecento anni, seppur nei confronti di un evento centrale e notissimo della cultura cristiana e occidentale, possa risultare così opaco al suo corretto discernimento.

Piero della Francesca Il battesimo di Cristo 1440-1460
Fig. 1 – Piero della Francesca, Il battesimo di Cristo, 1440-1460.

Il battesimo di Piero della Francesca []

Il battesimo è una delle più riconoscibili e frequenti immagini dell’arte cristiana, sostanzialmente legata a uno schema fisso e con pochissime varianti, principalmente a causa della brevità del racconto presente nei Vangeli canonici. Nonostante ciò, in Piero della Francesca ci troviamo di fronte a una lunga serie di interpretazioni critiche, dalle fortune alterne, che nel corso degli anni hanno tentato di gettare luce non solo sulla funzione complessiva dell’opera ma anche dei singoli soggetti e oggetti dipinti così come nelle originarie intenzioni dell’artista e del suo committente anche in funzione del pubblico dell’Italia centrale nel XV secolo. 

Il Battesimo di Piero è indubbiamente una rappresentazione chiara, toccante, indimenticabile, sacramentale e nobilitante del soggetto. Si tratta del pannello centrale, alto 167 cm, di una pala d’altare ormai scomparsa, dipinta per il priore della chiesa San Giovanni Battista di Borgo San Sepolcro, attorno al 1450. 

Piero scelse di rappresentare i due momenti centrali dell’evento: l’attimo in cui Gesù Cristo riceve l’acqua da san Giovanni e l’epifania divina, perfettamente allineata al centro insieme a Cristo e alla colomba. La posizione centrale di Gesù segue lo schema dominante tra XIV e XV secolo (come in Lorenzo Ghiberti e Andrea Pisano): alla destra di Cristo, dove sono presenti gli angeli, si trova il Paradiso, mentre alla sua sinistra starebbero gli uomini e i fatti terreni, con Cristo presente in entrambi i regni. 

Non sono però, evidentemente, le similitudini alla tradizione ad innescare l’interesse della critica verso quest’opera, quanto piuttosto gli elementi innovativi introdotti da Piero. Come osservato da Marie Tanner, Piero si discosta in almeno tre elementi principali: a) nello sfondo, alla sinistra di Cristo e dietro san Giovanni, si trova un gruppo di quattro uomini vestiti in costumi orientali, uno di loro gesticola in direzione del cielo, da dove appaiono i raggi divini; b) il paesaggio di fondo è contemporaneo e rappresenta Borgo San Sepolcro e non le rive del Giordano.

Ma soprattutto c) gli angeli non svolgono la loro consueta funzione di reggere gli indumenti di cui Cristo si spoglia per immergersi nel fiume e ricevere il sacramento: i due angeli infatti si tengono per mano mentre il terzo indica all’osservatore l’avvenimento principale (Tanner, 1972). Ogni angelo inoltre si distingue con una diversa acconciatura e con abiti di diverso colore, su cui torneremo.

Il ruolo degli angeli []

I tre angeli sono stati descritti da Roberto Longhi come «tre adolescenti con le ali» (Longhi, 1946), mentre secondo Charles De Tolnay gli angeli sarebbero «les Trois Grâces antiques, habillées en Anges chrétiens et exprimant, comme les Grâces l’expriment, l’harmonie» (De Tolnay, 1963), nonostante le Grazie siano donne mentre gli angeli, essendo asessuati, sono sempre stati rappresentanti con tratti maschili.

La somiglianza con le Grazie è notevole ma per trovarne una variante vestita come questa di Piero occorre risalire al Leon Battista Alberti del De pictura – che a sua volta prendeva spunto da una contaminazione letteraria tra il De beneficiis di Seneca e la Summa di san Tommaso – che avrebbe costituito il riferimento iconografico almeno fino all’avvento del gruppo del Canova. In questa versione s’insiste sul gesto del dare, interpretato come un beneficio dato e allo stesso tempo ricevuto.

«Piacerebbe ancora vedere quelle tre sorelle a quali Esiodo pose nome Eglie, Heufronesis e Thalia, quali si dipingeano prese fra loro l’una l’altra per mano, ridendo, con la vesta scinta e ben monda per quali volea s’intendesse la liberalità, ché una di queste sorelle dà, l’altra riceve, la terza rende il benificio: quali gradi debbano in ogni perfetta liberalità essere» (De pictura III, 54).

L’inclusione degli angeli potrebbe tuttavia essere riferito più che ad un atteggiamento moralistico di Piero ad una stringente e pragmatica necessità commerciale, collegata al rapporto tra l’artista e il committente: il committente infatti, forse un ricco mercante, potrebbe con quest’opera essersi voluto difendere dalle accuse di usura, cristianizzando il proprio mecenatismo artistico con questo elegante motivo classico.

Gli angeli, collocandosi al più basso dei nove ordini delle entità celestiali, rappresentano il punto di contatto tra l’umanità e Dio.

Creature moralmente ambigue, sono simbolo della relazione tra ribellione e acquisizione di coscienza di cui il “portatore di luce” Lucifero è sintesi. Nella Genesi (6, 2) gli angeli «figli di Dio» seducono le donne generando giganti distruttori, mentre nel libro di Enoch insegnano all’umanità i segreti dell’agricoltura, della metallurgia, dell’astrologia e dell’oreficeria. In generale gli angeli stimolano il nostro senso di misericordia e sono fonte d’ispirazione intellettuale, per questo assumono al nostro cospetto, specialmente durante la preghiera, forme umane simbolicamente giovani e belle.

Ci invitano alla preghiera con le loro azioni, indicandoci, con gesti diretti, l’oggetto della nostra devozione, o ricordandoci alcuni aspetti particolari di un dato mistero, talvolta (nei casi più estremi) con l’ausilio del testo di una pergamena.

Angelo deriva dal greco angelos, “colui che annuncia”: il suo è infatti il ruolo di messaggero.

Si avvicina all’uomo attraverso sogni e visioni, manifestandosi come voce o come coro celeste, in forma umana o animale, di stella, di nuvola o di fuoco. L’incontro con un angelo «apre le porte alla percezione del divino, una chiamata a un risveglio religioso e creativo» (Ronnberg, 2010).

Gli angeli sono una costante nelle rappresentazioni del battesimo di Cristo, nonostante la loro presenza non sia menzionata né nei Vangeli canonici né in quelli apocrifi. I punti principali della narrazione sono: Giovanni venne al Giordano, con una veste di peli di cammello e una cintura di cuoio, vennero le genti e alcuni furono battezzati; Giovanni, però, respinse i Farisei con un’osservazione sul taglio di alcuni alberi infruttuosi e sulla combustione del loro legno; parlò anche di qualcuno molto più potente di lui che sarebbe arrivato in seguito, e infatti arrivò il Cristo, che insistette perché Giovanni lo battezzasse; Dio inviò lo Spirito Santo sotto forma di colomba ed espresse il suo compiacimento (cfr. Matteo, 3).

Tommaso d’Aquino precisava che gli angeli fungono da diaconi durante il sacramento, svolgendo una funzione assistenziale che consiste nel reggere le vesti bianche del catecumeno (Daniélou, 1957). Il fatto che questa funzione non si riscontri in Piero indica che il significato della presenza degli angeli era in qualche modo mutato. 

Come confermato nelle Confessioni da sant’Ambrogio, la funzione degli angeli potrebbe essere quella di rappresentare la Trinità, iconografia che si era consolidata con l’apparizione di tre angeli ad Abramo: «Deus illi apparuit, et tres aspexit. Cui Deus refulgit, Trinitatem videt» (Genesi 18, 1-3). Lo stesso Andrej Rublev, contemporaneo orientale di Piero della Francesca, illustra questo episodio nella celebre Trinità isolando un gruppo di angeli in modo da esprimere al contempo unità, molteplicità e uguaglianza (Fig. 2).

Secondo la tradizione storiografica a sinistra è raffigurato Dio Padre, al centro è collocato Gesù Cristo e sulla destra lo Spirito Santo. Il calice al centro del dipinto, richiamato anche dalla sagoma esterna delle tre figure, è simbolo del sacrificio di Cristo.

Piero potrebbe aver seguito questa tradizione e aver adottato i colori delle vesti degli angeli, rosso, blu e bianco, secondo il simbolismo suggerito da Innocenzo III nel 1198, quando venne fondato l’ordine dei Trinitari. La focalizzazione particolare sulla Trinità, sia da parte di Piero sia di Rublev, potrebbe essere stata innescata da fatti storici coevi: nel 1439 si era infatti temporaneamente chiusa la disputa sulla cosiddetta clausola del Filioque, aggiunta latina – contestata dalla chiesa Ortodossa – al Credo in cui si decretava la processione dello Spirito Santo sia dal Padre sia dal Figlio. 

Andrej Rublëv Trinità 1420-1430
Fig. 2 – Andrej Rublëv, Trinità, 1420-1430.

Osservando le diverse acconciature si può notare che un angelo, quello a sinistra, indossa un diadema mentre gli altri due portano ghirlande, una di rose e una di alloro. Normalmente gli angeli non indossano ghirlande, che invece sono solitamente riservate ai martiri; sempre secondo Tanner, l’angelo al centro con la corona di rose potrebbe essere Cristo, con una sorta corona di spine in fase di fioritura – con tutta la portata simbolica che ne consegue –, mentre l’angelo con l’alloro, pianta simbolo – tra le altre cose – di gloria, potrebbe rappresentare Dio Padre.

I due angeli con la ghirlanda inoltre si tengono per mano in un gesto reminiscente della Concordia. Nell’arte imperiale romana la Concordia era spesso impersonificata da una terza persona di un gruppo nel quale le altre due si tenevano per mano. L’ipotesi è fragile ma è difficile scartarla del tutto a causa del pregnante fascino per la classicità presente nell’opera di Piero.

Del resto negli angeli il riferimento alla scultura greca è evidente: scelte di colore e sospensione dei gesti sembrano prelevati direttamente dalla staturia antica: sorta di blocchi monolitici, appena abbozzati nella pietra (Battisti, 1992).

Ma l’influenza potrebbe non risalire così indietro ed essere addirittura coeva a Piero. Nel 1439 infatti egli lavorava a Firenze come assistente di Domenico Veneziano e in quell’anno, sempre a Firenze, Donatello terminava la sua grande Cantoria, con quello straordinario fregio di angeli danzanti e cantanti. Alcuni di questi indossano oltre a delle ghirlande una veste drappeggiata, che, come avviene nella pala di Borgo San Sepolcro, lascia loro scoperta una spalla.

La Cantoria fu una delle più grandi opere pubbliche degli anni Trenta del Quattrocento e diventò una specie di testo di riferimento da cui trarre modelli di angeli in movimento intenso. Il contatto con Donatello, in un momento di ricerca sulla diversificazione di angeli in gruppo, perturbò l’usuale concezione degli angeli di Piero della Francesca, che per questo avrebbe dato vita ad angeli echeggianti in qualche modo quelli della Cantoria.

La dottrina dei tre battesimi []

Un’altra chiave per tentare di comprendere il senso profondo dei tre angeli sta in un semplice riferimento omiletico alla dottrina dei tre battesimi, una questione assolutamente centrale nel Quattrocento. Per comprenderla basterà conoscere la Summa teologica di sant’Antonino di Firenze, in particolare il sermone sul battesimo di Cristo (Baxandall, 2000). La dottrina dei tre battesimi nacque in relazione al seguente problema: se coloro che non sono battezzati sono dannati, anche coloro che non lo meritano – per esempio i martiri non battezzati – saranno esclusi dal Purgatorio e condannati alla pena eterna. Si sostenne pertanto l’esistenza di due battesimi, oltre a quello dell’acqua: il battesimo del sangue (baptismus sanguinis) concesso a chi è morto per Cristo, e il battesimo dello Spirito (baptismus flaminis).

Ciò tuttavia comportava che, se si poteva ottenere la remissione dei peccati senza sottoporsi attivamente all’effettivo sacramento del battesimo dell’acqua (baptismus fluminis), i credenti avrebbero potuto non sentire più l’urgenza di battezzarsi o far battezzare i propri figli. Conseguentemente si specificò che, a differenza degli altri due, il battesimo dell’acqua conservava superiorità sugli altri in quanto non solo purificava dal peccato originale ma conferiva all’anima una generale inclinazione al bene. 

Così si spiegherebbero gli angeli nella pala: ogni angelo è Spirito.

Quello a destra indossa la corona d’alloro del martire e quello al centro è vestito come Cristo (ma anche come l’uomo che si sta spogliando) perché in procinto di seguirne l’esempio sottoponendosi al battesimo. 

Oltre a quanto già sopra detto, gli angeli dalle mani unite sono stati considerati simbolo della Trinità, riferimento al matrimonio di Cristo con la Chiesa e richiamo al decreto di unione tra Chiesa orientale e occidentale firmato dopo il Concilio di Firenze del 1438-39.

In tutte queste vicende interpretative si sono alternati alcuni dei più importanti critici dell’arte del secondo Novecento, il cui pensiero è stato qui riportato, benché sinteticamente. Non ne risulta tuttavia che un’impasse tra proposte certamente plausibili e affascinanti e non ci resterebbe che sceglierne una tra tutte oppure muoversi alla ricerca di una verità interstiziale o addirittura esplorare nuove strade. 

Rimane in sospeso l’esplorazione di un’analisi formale minima delle tre figure, che forse può arricchirci con ulteriori sfumature di significato. Baxandall osserva che il problema fondamentale del quadro è l’incontro tra lo specifico linguaggio di Piero e la tradizione pittorica in un pannello verticale relativamente grande come questo.

Un’impresa complicata, perché gli angeli in Piero sono sempre figure di adolescenti statuari dotati quasi delle dimensioni di adulti: il rischio era che tre figure così concepite si sarebbero totalmente impadronite del quadro e d’altra parte, non si poteva spingerle sul fondo senza indebolire la loro funzione di coro.

Ecco perché la scelta di costruire un gruppo molto raccolto e di utilizzare l’albero per creare una sorta di nicchia laterale che li accogliesse, mentre un altro albero dietro di loro poteva richiamare il fogliame o i drappeggi con cui si ornavano un tempo le nicchie. 

Adolfo Venturi aveva scoperto somiglianze tra il Battesimo di Piero della Francesca e lo stesso soggetto dipinto da Masolino a Castiglione Olona: negli angeli, nell’uomo che si spoglia, nella dignità delle figure nude. Cristo inoltre sembra avere la stessa età, proporzioni ed eleganza dell’Adamo della Cappella Brancacci, mentre «i volti degli angeli, così delicatamente luminosi da sembrare trasparenti, conservano uno spessore fisico in cui la vita sembra al tempo stesso presente e assente» (Focillon, 2004).

Nessuna inquietudine tormenta questi personaggi dalle fronti alte e dai pensieri semplici, come se fossero forieri di un significato intuitivo, immediato e al di sopra di ogni dubbio. Forse ciò era vero per i contemporanei ma non di certo per noi, che persistiamo nell’arrancare incerti dietro tracce evanescenti.

Infine possiamo osservare quanto l’umanità negli angeli di Piero sia opposta a quella dei tormenti che viveva la sua epoca: paiono calmi, pesanti, immobili, eterni. Quasi indifferenti e superiori alle sofferenze umane, i tre angeli se ne stanno lì, tanto vicini quanto in disparte, «le più attraenti figure che Piero abbia dipinto mai; ma non si può essere certi che alcuno di essi partecipi alla scena» (Berenson, 2007).

[Originariamente pubblicato in Meneghetti Carlo, Elementi di teologia della comunicazione, Padova: Libreria Universitaria, 2015, pp. 222-229]


Bibliografia []

  • Battisti Eugenio, Piero della Francesca, Milano: Electa, 1992, p. 88.
  • Baxandall Michael, Forme dell’intenzione, Torino: Einaudi, 2000, p. 178-179.
  • Berenson Bernard, Piero della Francesca, o dell’arte non eloquente, Milano: Abscondita, 2007, p. 13.
  • Burke Peter, Testimoni oculari. Il significato storico delle immagini, Roma: Carocci, 2002.
  • Daniélou Jean, The Angels and their Mission, New York: ET, 1957, p. 59 n. 17.
  • De Tolnay Charles, Conception religieuses dans la peinture de Piero della Francesca, «Arte antica e moderna», XXII, 1963, pp. 9-11.
  • Focillon Henri, Piero della Francesca, Milano: Abscondita, 2004, p. 21.
  • Longhi Roberto, Piero della Francesca: con 207 tavole, Milano: Hoepli, 1946, p. 31.
  • Panofsky Erwin, Iconografia e iconologia. Introduzione allo studio dell’arte del Rinascimento, Id., «Il significato delle arti visive», Torino: Einaudi, 1999, pp. 31-57.
  • Ronnberg Ami, Il libro dei simboli. Riflessioni sulle immagini archetipiche, Colonia: Taschen, 2010, p. 680-683.
  • Tanner Marie, Concordia in Piero della Francesca’s Baptism of Christ, «The Art Quarterly», vol. XXV, n. 1, 1972, pp. 1-20.